Quello della gioia è uno stato d’animo che ciascuno di noi desidera vivere, ma che tuttavia rimane per molti un’esperienza del tutto fugace o persino sconosciuta. Ci sono anche coloro che pensano non sia possibile sperimentare una vera gioia sulla Terra.
Io penso invece che vivere la gioia sia non solo possibile, ma perfino inevitabile, dal momento che essa è connaturata all’essere umano. Appartiene alla nostra parte divina e noi la incontreremo sempre più spesso e sempre più profondamente man mano che ci avviciniamo al recupero della nostra totalità, cioè all’allineamento con la nostra Anima.
Personalmente ritengo che qualsiasi discorso sulla gioia non possa prescindere da queste due considerazioni fondamentali:
– la Vita in essenza è Gioia Pura;
– nella vita quotidiana la gioia è una scelta consapevole.
Che l’essenza della Vita sia pura gioia lo si può desumere dal racconto delle esperienze estatiche, che rappresentano appunto l’incontro con questa essenza, cioè con il divino. Tra le tante esistenti ne riporto alcune, vissute da personaggi che hanno inciso sul mio percorso.
Yogi Ramacharaka è il nome assunto da William Walker Atkinson dopo la sua illuminazione, di cui dà questa descrizione : “Durante questa esperienza predomina una intensa gioia, di gran lunga superiore a qualunque altra gioia sia stata mai provata. E’- mi si consenta l’espressione – un senso di GIOIA ASSOLUTA. Il suo ricordo e il riflesso della sua luce non si cancelleranno mai più dall’anima di coloro che l’abbiano provata una sola volta e che saranno per sempre più lieti e più felici … L’intensità della gioia gradatamente si attenua, ma ne rimane come una scia di conforto e di incoraggiamento” (Yoghi Ramacharaka, Corso superiore di filosofia yoga ed occultismo orientale, Fratelli Melita Editori, Trento 1989, pag. 76)
Paramahansa Yogananda non ha bisogno di presentazioni. Parla della sua estasi in questi termini: “Un’oceanica gioia scoppiò sulle rive calme e infinite dell’anima mia. Realizzai che lo Spirito di Dio è inesauribile Beatitudine. Il Suo corpo è fatto di innumerevoli tessuti di luce.” (Paramahansa Yogananda, Autobiografia di uno yogi, Astrolabio, Roma 1971, pag. 142)
Un’esperienza affine all’estasi può essere vissuta anche da chi è meno mistico dei personaggi sopra citati. Cristina Aprato, l’allieva prediletta di Baba Bedi, racconta di avere vissuto qualcosa di analogo un mattino, al momento del risveglio: “Ad un certo punto ho avvertito una gioia infinita, immotivata, totale, che permeava ogni più piccola parte di me e ho avuto la certezza assoluta che in me esiste una forza che trascende la mia persona, ma che si manifesta anche attraverso questa poca cosa che sono … Da quel momento ho avuto sempre più frequentemente la sensazione fisica di un’apertura nella zona del cuore. Non è dolorosa, è emozionante, … non so descriverla con le parole, posso solo dire che è gioia purissima e amore, senza motivo, senza scopo, per la vita e per ogni creatura” (Cristina Aprato, Baba Bedi e la via della gioia, Ed. Centro di Benessere Psicofisico, Rivarolo Canavese [TO] 1996, pag. 39)
La gioia dunque è dentro ciascuno di noi e per viverla nel nostro quotidiano non serve aspettare che giunga a noi dall’esterno, quel che bisogna fare invece è ritrovare il collegamento tra il nostro io personale e il nostro Sé universale.
Gli animali, che mantengono la connessione tra la loro parte cosciente, quanta che possa essere, e la Fonte di Tutto Ciò che E’, riescono meglio di noi a sentire e lasciar fluire quest’onda da dentro di loro. A meno che non intervengano gli umani ad interrompere la connessione maltrattandoli ed impaurendoli, la loro spontanea gioia è quotidianamente sotto i nostri occhi ed è per questo che possono essere impiegati per correggere le nostre disfunzioni emotive, con la cosiddetta “pet-therapy” o anche semplicemente con la loro presenza accanto a noi.
E noi come facciamo a ristabilire o ad incrementare il contatto con quella che è la nostra parte più profonda e più elevata insieme?
Osho Rajneesh individua nella meditazione lo strumento principe per raggiungere questo scopo. Nel libro “Meditazione: la prima e ultima libertà”, che raccoglie i suoi discorsi sul tema, parla dei numerosi effetti positivi di questa pratica, il cui scopo sarebbe proprio quello di costruire un ponte tra noi e il divino. Una volta stabilito il ponte avremo tra gli effetti anche il conseguimento della gioia. La definisce una gioia che non ha una origine, non ha una causa, non ha una motivazione, ma si sprigiona da tutto, in quanto è l’esistenza stessa che si compone di quella sostanza chiamata gioia.
Chi sta scrivendo queste righe non è del tutto d’accordo con questo Maestro, perché, se pure è vero che la consuetudine della meditazione può portare a vivere momenti di beatitudine, è vero anche che essi rischiano di rimanere circoscritti al tempo in cui si medita, che è un tempo un cui si crea uno stato alterato di coscienza. Ma se poi, tornando alla nostra coscienza ordinaria ci ritroviamo alle prese con i nostri conflitti e con le nostre difficoltà, vuol dire che non abbiamo creato allineamento con il Sé, ma ci siamo solo presi una vacanza dalle nostre problematiche.
A mio parere per allineare tutte le nostre parti e recuperare quindi la nostra pienezza e totalità e, di conseguenza, anche la gioia, non esiste altra via che il portare ARMONIA in quelle parti di noi che costituiscono la nostra personalità terrena, cioè nei nostri pensieri ed emozioni essenzialmente, i quali poi influiscono anche nel nostro stato fisico. In questo modo eleviamo le vibrazioni dei nostri corpi emotivo e mentale fino a raggiungere più o meno stabilmente quelle del Sé, laddove amore, pace e gioia sono tutt’uno.
Per armonizzare la personalità occorre sciogliere i conflitti, che altro non sono che la distanza tra ciò che noi siamo come specifica individualità ed i ruoli che ci troviamo ad assumere a causa dei condizionamenti che la società, la cultura e l’educazione ci hanno impartito. A volte noi non ci rendiamo nemmeno conto del groviglio di usi e costumi sociali e comportamenti pre-programmati su cui abbiamo fondato le nostre vite terrene.
Sennonché la nostra autentica specifica individualità è del tutto preziosa in quanto unica ed irripetibile espressione della Vita. Baba Bedi paragonava la totalità della vita nel cosmo ad una sinfonia, nella quale ognuno di noi rappresenta una nota: il nostro compito è di non essere una nota stonata, perché questo influirebbe negativamente sull’intera sinfonia. Vi è una perfetta coincidenza tra ciò che è bene per noi e ciò che è bene per il Tutto.
Il nostro Sé vuole esprimersi in quello che ha di unico e se non assecondiamo questa spinta, obbedendo invece ai condizionamenti, cadiamo nel conflitto e questo tiene i nostri corpi emotivo e mentale nelle basse frequenze della paura, con tutti i suoi sottoprodotti come la rabbia, la frustrazione, la depressione e quant’altro di affine. Se non ci allineiamo al Sé ci collochiamo tra le note stonate nella sinfonia cosmica.
Il Sé si esprime attraverso le nostre passioni, cioè ciò che amiamo fare più di ogni altra cosa. Qualunque cosa può essere una passione: può avere a che fare con lo sport, con la musica, la letteratura o con le arti figurative, con attività intellettuali o scientifiche, con una forma di espressione spirituale, con il ‘bricolage’ o con qualsiasi altra cosa. Ciò che contraddistingue le passioni è che, quando le esercitiamo, il tempo sembra cessare di esistere: tutto diviene l’adesso e nulla più esiste se non la soddisfazione creativa del momento presente. La passione è ciò che ci fa sentire centrati, ‘a casa’, nella gioia.
Le passioni sono figlie dei nostri talenti, cioè quelle capacità portate a maturazione nel corso delle vite passate, che sono divenute parte integrante della nostra individualità e che pertanto necessitano di essere espresse. Sono i nostri talenti a creare quelle attrazioni che danno vita alle passioni. I talenti-passioni sono anche gli strumenti che abbiamo a disposizione per realizzare il progetto di vita scelto per questa incarnazione.
Esercitare i nostri talenti-passioni, oltre ad essere ciò che ci dà il senso di realizzazione, armonia e gioia, è anche la chiave della nostra evoluzione ed il nostro contributo all’evoluzione dell’Universo. Baba Bedi diceva che accettare la gioia e viverla significa evolvere; Reniyah Wolf, canalizzatrice dell’Arcangelo Metatron, diceva che negare l’esperienza della gioia significa bloccare efficacemente la propria evoluzione.
Questo ci riporta alla seconda considerazione esposta all’inizio di questo articolo: nella vita quotidiana la gioia è una scelta consapevole. Quella di dare spazio alle proprie passioni infatti è una scelta e non è una scelta egoistica, poiché l’egoismo risiede piuttosto nel cercare di manipolare gli altri e tenerli sotto controllo. Coloro che vogliono toglierci questo spazio non hanno in mente il meglio per noi: sono quelli che vogliono tenerci in uno stato di impotenza.
Non intendo dire che dobbiamo abbandonare la nostra famiglia o finire morti di fame per seguire le nostre passioni, ma che dobbiamo scegliere di dare loro la possibilità di manifestarsi, se sappiamo quali sono, oppure dobbiamo scegliere di scoprirle seguendo i nostri desideri e verificando in quale di questi rimane focalizzato il nostro interesse, portandoci quindi una gioia che non sia effimera.
Durante il tempo della ricerca delle nostre passioni, che sono chi noi siamo, rimane comunque utile, nei momenti in cui sentiamo che le nostre frequenze emozionali scendono, fermarsi e dedicarsi a qualcosa che piace: le basse frequenze svaniranno nella soddisfazione del momento che, anche se del tutto temporanea, allarga però un pochino di più la finestra di collegamento con il nostro Sé, finché verrà il momento che riusciremo ad essere tutt’uno.
Auguro a ciascun lettore che non l’abbia già fatto, di riuscire ad intonare prestissimo il proprio canto di gioia!